Description de l'episode
Seguiamo Carlo Colognese nella sua introduzione al terzo canto dell’ Inferno della Divina Commedia e nella lettura del canto stesso. Dante affronta l’argomento dell’ ignavia, in uno dei tratti del poema che hanno lasciato maggiormente il segno nella memoria popolare con la potenza delle immagini della porta d’entrata all’ inferno, la figura di Caronte, traghettatore delle anime dannate, ed infine la forza espressiva di frasi come “Lasciate ogni speranza oh voi ch’entrate”, “Senza infamia e senza lodo”, “Non ragioniam di lor ma guarda e passa”.
Tra gli ignavi, di cui parla il canto, Dante fa capire di aver riconosciuto Celestino Quinto noto proprio come dice lo stesso Sommo Poeta per aver “fatto il gran rifiuto”; aver rinunciato cioè al Soglio Pontificio. Anche se lo stesso Celestino Quinto fu fatto santo quando Dante era ancora in vita, il poeta lo pone tra gli ignavi all’inferno perché dopo quel rifiuto venne eletto papa Bonifacio Ottavo che con le sue manovre costrinse Dante all’esilio.
Carlo Colognese ci offre una lettura del canto che si potrebbe definire “epica” per la passione autentica con cui ce la trasmette e il ritmo coinvolgente di cui si serve per esprimerla. L’introduzione, con la cura impiegata da Carlo Colognese nel riprendere temi e tracce di ragionamento ponendole in rapporto con la temperie storica in cui Dante ha scritto, serve a seguire con vero gusto la lettura fluida, ritmata e appassionata con cui Colognese ci porge il canto terzo medesimo.
Ecco , di seguito, la trascrizione dell’ introduzione.
Tre donne benedette hanno fatto sì che Dante cominciasse il suo cammino illuminato dalla poesia di Virgilio. La Vergine, Santa Lucia, Beatrice, le tre metafore della ricerca di Dio. Esse si sono impegnate a soccorrere l’anima di Dante che stava per perdersi nella selva dell’errore e del peccato.
Ora siamo giunti davanti alla porta che si apre sull’abisso. Qui conviene abbandonare ogni speranza. L’eterno giudizio attende coloro che entreranno.
Ma Dante e Virgilio stanno ancora nel non luogo che anticipa il giudizio. Qui stanno le anime di coloro i quali non hanno mai preso posizione nella vita, Non converrebbe nemmeno parlarne tanto è grave il peccato dell’ignavia. Si l’ignavia è un peccato, ma coloro che non si sono mai spesi per una causa non sono degni nemmeno di stare all’inferno. Stanno qui in questa landa senza luce, tormentati da insetti mentre un vessillo di cui non si coglie il profilo e la natura li costringere a correre.
Questo è il luogo degli angeli che non si schierarono ne con Dio ne con lucifero, qui sta colui che per viltà fece il gran rifiuto, forse celestino quinto. La cosa interessante è che pur essendo puniti in eterno, non sono degni nemmeno dell’inferno terribile. La legge del contrappasso li costringerà a correre per sempre, sospinti dal vento e tormentati da insetti immondi.
Tuttavia il vero protagonista del canto è Caronte, figura demoniaca che dante prende in prestito dalla mitologia classica. Caronte è il traghettatore delle anime perdute che, sempre per il contrappasso, hanno una furiosa ansia di giungere alla loro destinazione. Caronte capisce che Dante è vivo e si interroga sul perché un vivo stia su quella sponda, cercando di entrare nelle contrade dell’eterna dannazione. Sarà Virgilio a zittire il demone. Tuttavia interverrà un terremoto che aiuterà Dante a chiudere questo canto, come farà altre volte, con uno svenimento provvidenziale.
Nell’ immagine: “Dante e il suo poema” (particolare) affresco di Domenico di Michelino (1417-1491) – Santa Maria del Fiore (Firenze)